Cattiveria o bontà?
Partiamo dalla prima, cioè la “cattiveria”.
Cosa è questa subdola e meschina sostanza all’interno di un sincero rapporto fra due persone? Partendo dal presupposto che ogni frammento, aspetto del nostro carattere conduce alla conoscenza di sé, l’indagine arriva presto alla seconda, cioè la bontà. E viene quindi da ricordare cosa ne diceva un vecchio proverbio toscano:
Troppo buono porta bischero!
Può essere vero nel caso uno dimostri di essere “cattivo” ma non lo faccia effettivamente a fini malefici, ma semplicemente per portare l’altra persona a riflettere ove non vede, per ascoltare i consigli dell’altro che ne sa qualcosa in più.
Proprio come accade con un bimbo cocciuto che non ascolta il genitore. A quel punto il genitore diventa “cattivo”. Impone l’avvenire delle avversitò qualora il bimbo continui a non rendersi conto del suo agire.
Ognuno ne prenda le conseguenze in questi casi, trattandosi di un evento dualistico, per natura, la cattiveria può essere scatenata dal suo opposto, cioè dalla bontà incondizionata.
Non è distruggendo se stessi o gli altri che si superano entrambi gli eccessi, separandosi ognuno dal proprio sentimento o dolore per fuggirne via.
Giudicare l’altra persona, per l’uno o l’altro comportamento porta ad una non comprensione ed ogni scia di pensiero si segua al riguardo costituisce uno scoglio.
(Il pensiero riguardo a qualcosa non è MAI omnicomprensivo nei confronti della verità, l’amore si.)
Superare i propri limiti è sinonimo di intelligenza, poichè a volte non è vero che ciò che è buono è lo è realmente e ciò che è cattivo anche.